* Ho scritto questo testo come introduzione alla raccolta 2024 “Inediti racconti brevi” della Fondazione Banca del Monte (la potete leggere liberamente a questo link). Lo ripropongo in una versione ridotta e riadattata nel decennale del concorso dedicato a Sergio Garbato, anche come divertente spunto sul tema degli incipit letterari.
“E se mi fingessi malato?”
Confesso di averlo pensato, quando a fine estate la Fondazione Banca del Monte mi ha rammentato la mia solenne promessa, anche quest’anno, di scrivere l’introduzione alla raccolta dei 20 racconti finalisti del concorso “Sergio Garbato”. Un desiderio di fuga motivato non certo dallo scarso amore verso i racconti qui presentati: anzi, sono tra le letture più belle ogni anno. Semmai per il timore – non essendo certo la prima volta che scrivo questa introduzione – di non sapere più cosa scrivere. Peggio: di svilire questa pubblicazione con un cumulo di banalità.
Alla fine, scartabellando un ideale catalogo di scuse per svignarmela, non sono riuscito a trovare nulla di dignitoso. Così mi sono dedicato ad un’altra ideale opera di ricerca: quella di almeno un’idea originale per questo testo. E mi è venuto in mente un appunto preso durante la lettura delle decine di racconti presentati al concorso la scorsa primavera: perché non parlare degli incipit e del loro potere di accendere l’immaginazione?
Alcuni dei racconti che mi scorrevano sotto gli occhi, infatti, avevano degli incipit fulminanti o evocativi, capaci con una manciata di parole di farti immaginare cosa stesse succedendo e cosa sarebbe successo subito dopo. Non tutti quegli incipit hanno ripagato le aspettative. In qualche caso, il resto del racconto non era all’altezza dell’esordio, eppure mi ero sentito in qualche modo grato alla giovane penna che aveva punzecchiato la mia fantasia.
Dunque ho ripreso in mano tutti i racconti candidati e ho riletto i loro incipit. Non solo, ho scartabellato, in questo caso fisicamente, nella caotica libreria del mio studio, pescando quasi a caso i miei romanzi preferiti, per rileggere le prime parole di ciascuno. Ho scoperto che alcuni li ricordavo quasi a memoria, altri no, e che alcuni sono pietre miliari, mentre altri sono del tutto insignificanti.
Infine, ho pensato che un’introduzione che parla di incipit dovesse avere un incipit all’altezza. Non è un caso, dunque, se ho iniziato con uno sconcertante virgolettato.
Alcuni dati introduttivi
I 20 racconti della raccolta “Venti inediti racconti brevi” (titolo lapalissiano) sono i migliori classificati al concorso che la Fondazione Banca del Monte indice ogni anno per le scuole superiori della provincia di Rovigo.
Il concorso è intitolato da alcuni anni a Sergio Garbato, intellettuale rodigino, ricordato per la sua capacità di fare cultura attraverso la divulgazione e il dialogo. Anche con i ragazzi. Vale la pena ricordarlo. Nel 2024 i racconti candidati sono stati ben 130, provenienti da sette istituti scolastici.
Mi piace dire che questo concorso è una sfida. E’ tale sicuramente per le ragazze e i ragazzi, spinti a ideare e scrivere una buona storia in una manciata di settimane: una storia breve, oltretutto, quindi capace di condensare in poco spazio una trama e personaggi in grado di colpire l’immaginazione e il cuore di chi legge.
E’ una sfida anche per la giuria, che di questi 130 racconti ha dovuto selezionare la ventina finalista e infine stabilire quali fossero i tre migliori, più quel paio di menzioni speciali che consentono di allargare un pochino il podio. Una selezione del genere non si fa a cuor leggero e, se è avvenuta anche quest’anno senza provocare vittime, è forse merito di un team ormai rodato da qualche anno di lavoro insieme. Oltre al sottoscritto, hanno giudicato i racconti Antonio Gardin, Claudio Garbato e Giuseppina Papa. (…)
Gli incipit di queste storie
L’incipit è fondamentale. In quelle poche parole si concentrano non solo l’inizio di una storia, ma le aspettative del lettore riguardo a quanto accadrà dopo.
Nel libro Imparare a scrivere con i grandi, lo scrittore parmense Guido Conti (per la cui opera personalmente nutro una passione sobria sobria alla Annie Wilkes di “Misery non deve morire”) descrive l’incipit come il momento in cui avviene una rottura del silenzio: “per rompere il silenzio, serve una parola forte, necessaria, mai banale”.
Più facile a dirsi, che a farsi. (…) Guardando alla forma, quante forme può avere un buon incipit? Nel suo libro, analizzando solo gli scritti di Čechov, conti ne elenca almeno quattro: si può iniziare con un’indicazione temporale oppure con un luogo, con un’informazione sul protagonista o con un dialogo. Spulciando a caso tra i miei libri del cuore, li ho trovati un po’ tutti. E li ho trovati un po’ tutti anche nei 130 racconti candidati al concorso, anche se mi è rimasto spesso il dubbio sulla precisa aderenza di questo o quell’incipit ad una precisa forma. Ne è nata, insomma, non una rigorosa analisi statistica, ma un’esplorazione con molti margini di libertà.
1. Il tempo dell’azione. Una dozzina dei nostri racconti iniziano con questo approccio abbastanza classico: una data, magari abbinata ad un luogo. Ma diventano una trentina, se si contano in questa classifica tutti quegli incipit somiglianti al classico “C’era una volta”.
Anche se un po’ didascalico, ricorre nelle storie ambientate in un preciso periodo storico (nel passato o nel futuro) ed è tutto sommato un modo semplice ed efficace per far entrare il lettore nell’ambiente in cui si svolgono i fatti. Dieci racconti iniziano con una dissertazione e tre raccontano fatti accaduti prima del tempo in cui si svolge la storia. Un dato curioso, in tema di collocazione temporale degli incipit: ben 6 racconti iniziano con una sveglia che suona, intelligente stratagemma per introdurre una serie di eventi che inizia di mattina.
2. Il luogo dell’azione. Anche indugiare sul luogo in cui avvengono i fatti è una partenza classica ed efficace: anche più della collocazione temporale, la descrizione del luogo stimola chi legge a formarsi le prime immagini nella mente e, quindi, ad iniziare ad esplorare la storia. Dunque non stupisce che un’altra dozzina delle storie presentate al concorso ricorra a descrizioni di ambienti o di situazioni.
Si potrebbero fare rientrare – un po’ forzatamente – in questa categoria anche alcuni racconti che fanno emergere l’ambientazione attraverso i dettagli sensoriali: (…) una sensazione fisica o una percezione (ad es. “è buio”, “è freddo”) o (…) un suono, cioè con ciò che il protagonista sente intorno a sé. E che, di conseguenza, sente anche il lettore.
3. Il protagonista. (…) In una buona storia, conoscere il protagonista è essenziale, dunque può essere utile iniziare da lui. Certo, in alcuni casi la scelta può essere molto rischiosa, specie in quegli incipit (anche nei racconti presi in esame) in cui il protagonista stesso si presenta al lettore con “Eccomi qui”, “Mi presento”, “Ciao”.
Più interessante la scelta di una manciata di scritti, che si focalizzano non tanto sulla presentazione del protagonista, quanto del problema che lo affligge (ad es. il rapporto con un genitore o una dipendenza da sostanze). Dimostra consapevolezza che la storia che inizia è un viaggio prima di tutto interiore, in cui il protagonista affronta sé stesso e i propri problemi.
Una quindicina di storie vanno sostanzialmente dritte al sodo, iniziando con l’azione pura, con ciò che succede. Al centro c’è il luogo, il tempo o il protagonista? Un po’ tutti e tre, ma è quest’ultimo che viene messo a fuoco immediatamente e raccontato attraverso ciò che fa, prima ancora che ciò che è.
4. Il dialogo. Infine ci sono i racconti, statisticamente minoritari, che iniziano con le virgolette aperte, soluzione che comunque non è rara in letteratura. Dei nostri 130, sono sei quelli che esordiscono con un dialogo tra due persone, un paio quelli che scelgono la forma del diario o della lettera.
Ce ne sono poi tre che si rivolgono direttamente e apertamente al lettore, a cui si potrebbero aggiungere altri che iniziano con una domanda o un mistero e che, in fondo, si rivolgono al lettore, seppure non esplicitamente.
E i racconti della raccolta? Divertitevi a leggerli anche da questo punto di vista, lasciandovi sorprendere, coinvolgere o colpire dai loro incipit. A volte dimostrazioni di vero e proprio virtuosismo, a volte al contrario ingressi timidi e zoppicanti, in ogni caso sempre capaci di “rompere il silenzio” e aprirvi la porta di nuovi mondi e nuove storie.
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