La bandiera neonazista esposta in una caserma dei carabinieri? “E’ stata una leggerezza, non sapevo che fosse un simbolo dei neonazisti”. Il saluto romano sul campo da calcio a Marzabotto? “Stavo solo salutando mio padre”. Non lo sapevo. Scusate. E’ stato tutto un equivoco.
Il copione è sempre quello. Prendiamo il caso della bandiera del Secondo Reich esposta in una caserma dei carabinieri di Firenze. E’ un simbolo usato dai movimenti neonazi, visto che sarebbe vietato girare con la più celebre bandiera con la svastica. Ma il carabiniere che l’ha esposta non ne era al corrente: “Quella bandiera per me rappresenta solo un periodo storico al quale mi sono appassionato, niente di più”. Non era un neonazi, dunque, ma semplicemente un fan del mitico Otto Von Bismark. E a volte la passione, si sa, abbaglia. Ma niente paura: basta scusarsi. “Chiedo scusa se ho violato i regolamenti”.
Ricorda proprio il caso del calciatore del 65 Futa che, in una partita a Marzabotto, aveva festeggiato un gol con il saluto romano e mostrando una maglietta della Repubblica Sociale Italiana. Anche lì, un tragico equivoco: “Non ho fatto nessun saluto romano, stavo semplicemente salutando la mia morosa e mio padre in tribuna”. E la maglietta della Rsi proprio nel luogo di una strage nazista? “Avevo questa maglia normalissima e l’ho messa. Non c’era nulla di premeditato”. L’aquilotto ce l’aveva stampato mamma per coprire un buco.
Attendiamo ora di conoscere quale incredibile catena di equivoci ha portato a interpretare come un raid fascista l’irruzione di una ventina di persone nella chiesa di Casella, nei pressi di Genova, al grido di “A noi! Viva il Duce!”, e ovviamente le relative scuse: “Eravamo lì per l’ostia della comunione”, “Ci siamo espressi male”, “Il braccio alzato era per fare il segno della croce”.
Perché alla fine sono tutti così, questi fascisti. Prima fanno gli spacconi, poi si pentono, piangono, si indignano per tanta malignità scatenata contro di loro. Si ispirano, del resto, alla lezione di ardimento impartita negli anni Quaranta da quel tizio pelato, che impose a manganellate una dittatura all’Italia, si inventò le leggi razziali e infine trascinò il paese in una guerra mondiale, costata decine di milioni di morti.
Quello che ci spiegò che era meglio vivere un giorno da leone, che cento da pecora, ma al momento fatale scelse la pecora, svignandosela alla chetichella con l’amante e un po’ di sodali, salvo poi finire catturato, fucilato e appeso.
Pare che le ultime parole di questo fulgido esempio di italico eroismo furono “Ma… ma… ma… signor colonnello!”. Probabilmente stava cercando di protestare. “Si è trattato di un equivoco. Le leggi del Trentotto non ce l’avevano con gli ebrei. L’olio di ricino era per aiutare a digerire. Frequentavo Hitler solo perché mi piaceva sua cugina”.
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