Il gruppo che non c’era #14: Le notti di Stroppare

Dopo il successo di “Homo sapiens”, la band si concede un periodo di riposo, soprattutto per consentire a Mario di dormire la notte e riprendere ad alimentarsi decentemente.

Si torna poi in sala prove con comodo, a cavallo tra 2010 e 2011, per preparare una serie di concerti più canonici, che si terranno nel mese di giugno in due diverse e suggestive location. Toccando quasi un record storico, sono in programma ben due esibizioni nell’arco di otto giorni, grazie all’impegno di Lisa e Mario nel procacciare date.

Gli Arachide Jumbo sono insomma ambitissimi, soprattutto perché ormai nessuno si degna più di pagare loro un misero cachet. Si suona comunque, certi di essere ripagati in visibilità.

Pagare per suonare e pisciare nei campi

E’ in questo modo che la band, ormai nel decimo anno dall’ingresso del tastierista, fa il suo esordio in uno degli eventi più hot dei sabato sera della bassa padovana: la Festa in campagna, in località Gorzone di Stroppare.

Una sfida epica, per gli Arachide Jumbo, quella di rubare la scena al vero oggetto di culto della serata, ossia una chilometrica porchetta, sacrificata pubblicamente in una sorta di rito pagano in vista del Solstizio d’estate.

L’atmosfera agreste è curata nei dettagli: c’è la corte di campagna con il rustico polveroso, i camerieri col grembiulone, la mostra di un eccentrico artista locale, che inventa quadretti con rotoli di carta igienica e mutandine. E ci sono i campi utilizzati come toilette, in quanto la toilette vera non solo è una sordida casetta di lamiera con dentro una latrina a cielo aperto, ma soprattutto perché la latrina è resa presto inagibile in seguito all’incontrollato spasmo intestinale di un ospite (forse causato dalla porchetta). In piena sintonia con la location agricola è il titanico palco, ricavato su un gigantesco cassone di metallo, di quelli usati per il trasporto delle barbabietole.

L’evento, a scopo benefico (il ricavato sostiene la parrocchia locale), è aperto dall’esibizione del gruppo rock Sound Vibration, che propone cose dei Creedence Clearwater Revival, dei Beatles e di svariati altri grandi gruppi rock, suonate piuttosto bene, nonostante la band trascorra buona parte della serata ad autodenigrarsi pubblicamente, affermando di essere delle mezze pippe.

Per gli Arachide, intanto, la serata parte male: nessuno si degna di offrire alla band la cena, consistente in varie fette di porchetta (che altro?), all’esorbitante costo di 13 euro (ma è per beneficenza).

Quando i cinque salgono sul palco-cassone (intorno alle dieci, ormai gonfi di porchetta e vino e psicologicamente pronti per andare a letto) la situazione non è affatto buona.

Innanzitutto, il pianolista non ha potuto fare il soundcheck, perché sul palco non c’era posto per le tastiere, così si parte alla cieca e succedono le seguenti cose: sul display della Roland D50 compaiono improvvisamente delle scritte in giapponese, lingua sconosciuta a tutti i membri della band, e poi la tastiera si rifiuta di leggere una card. Bene.

Frattanto, anche la Solton inizia a fare le bizze, con il pedalino del sustain ormai vecchio di quindici anni che inizia a bloccarsi, sovrapponendo tutte le note. Benissimo.

Non bastassero i vari malfunzionamenti elettronici, causati probabilmente dal tasso di umidità superiore al 90%, ci si mette anche la fretta: avendo inserito il jack nel buco sbagliato, non si sente il piano Gem. Ottimo.

Partono le prime bestemmie, ma per fortuna il pubblico è ancora troppo intento a divorare gli ultimi resti del malcapitato suino per degnare di attenzione l’esibizione disastrosa dell’Arachide Jumbo, che migliora man mano che il tastierista viene a capo delle mille magagne tecnologiche, ripromettendosi ancora una volta di impararare a suonare strumenti più semplici, tipo l’ottavino.

Il palco-cassone ondeggia come una barchetta in balia delle onde, effetto esaltato dalle note del basso, così la sensazione stranissima è di suonare su un enorme materasso ad acqua.

Il repertorio prevede “Fortunate son” dei Creedence (l’hanno fatta anche quelli prima, ma pazienza) “Wild Thing”, “I shall be released”, “Come together”, “Essence” di Lucinda Williams e così via.

Nel mezzo, seguendo una strategia elaborata molto tempo addietro da Mario e Gianni, la band piazza con nonchalance un po’ di roba nostra (…). La reazione del pubblico, comunque, è di completa indifferenza sia alle cover, che ai brani di produzione propria.

Verso le undici, arriva uno dell’organizzazione con la richiesta di chiudere l’esibizione, per dare spazio al karaoke. (…)In chiusura di concerto, Mario si lancia al microfono con una dichiarazione a favore del referendum contro il nucleare e per l’acqua pubblica, invitando a barrare quattro “sì”. La cosa non sembra scaldare più di tanto la platea.

Infine scatta l’ora del karaoke, con il conduttore che si appropria dell’impianto della band, costringendo i membri del complessino a sorbirselo tutto fino a tarda notte, compreso un ceffo scatenatissimo che urla: “Questa è la notte di Stroppareeeee!!!”

Figuriamoci le giornate.

Concerti un po’ meno bucolici

Più sobrio il concerto del 19 giugno alla Festa dello Sport a San Pio X, nel contesto di una serata artistico-culturale, che, tra l’altro, ingaggia metà della famiglia Serico, ad esempio la nipotina Silvia, che espone una serie di dipinti, e il fratello Paolo (papà di Silvia), con una mostra di sculture realizzate con pezzi di occhiali sottratti alla bottega di famiglia.

Si suona nell’atrio delle scuole elementari. Il pubblico non è numeroso, ma almeno ascolta (così sembra).

A settembre 2011, la compagnia Teatro Insieme di Sarzano e gli Arachide Jumbo riportano in scena “Homo Sapiens” per una sola data al Teatro Studio di Rovigo, all’interno di un brevissimo ciclo di eventi. (…)

Per l’occasione, Mario rivisita completamente lo show, cercando di rendere la pirotecnica struttura un po’ più comprensibile allo spaesato pubblico. Non si sa se l’obiettivo sia stato centrato, ma almeno in questa occasione non si registrano episodi di narcolessia.

In primavera la band registra su cd alcune cover da proporre a locali in cerca di band. Non troveranno neanche un locale interessato, ma in compenso rimarranno agli atti alcune buone performance.

La migliore, immortalata in questi file audio, resta sempre la versione molto rock di “Wild Thing” dei The Troggs, già rivisitata da Jimi Hendrix e qui suonata in uno stile sui generis, con grande personalità: alla Arachide Jumbo, verrebbe da dire.

In questi anni, va detto, la tendenza – soprattutto del chitarrista, con l’approvazione del tastierista – è di stravolgere le cover per metterci del proprio. Nasce così, ad esempio, una versione semi improvvisata e stralunata di “Summertime”, in parte ispirata all’acida interpretazione di Janis Joplin, in buona parte suonata free, senza paracadute, improvvisando in base all’umore della serata.

Questa bellissima idea sulla carta, tuttavia, provoca presto profonde perplessità da parte del batterista, che si ritrova ogni volta a dover assecondare le lune del chitarrista, che attacca ogni esibizione con un ritmo diverso da quello del concerto precedente, costringendo la band ad andargli dietro a naso.

Come finirà?

E s’è capito: continua la prossima settimana qui o, quando volete, nella biografia ufficiale dell’Arachide Jumbo, che trovate qui

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