Il luogo più bello di Rovigo. E uno dei più insignificanti

Ho scritto l’articolo che segue molto tempo fa per il blog della rivista REM. Almeno credo.

Non ricordo se effettivamente sia mai stato pubblicato o se sia una delle mille bozze lasciate a decantare. Sia come sia, dato che parla di un mio luogo del cuore, lo ripropongo qui. Come sempre in versione riveduta e aggiornata.

Passeggiare per Rovigo con la testa altrove

Rovigo è piena di luoghi suggestivi, anche se ho l’impressione che molti sarebbero del tutto insignificanti per un turista. Alcuni, in verità, lo sono pure per i rodigini.

Difficile apprezzare la passeggiata lungo la scalcinata via mure Soccorso fino al tempio della Rotonda, la visione di Casa Rosetta che muore mattone dopo mattone o l’attraversamento dell’angusto vicolo Canevone, se non si ha la testa immersa nel passato della città.

Sarà forse per questa tendenza a vivere la città in cui vivo più con l’immaginazione, che con lo sguardo, che uno dei luoghi a cui sono più affezionato è uno tra i più insignificanti. E’ l’area tra il centro storico e San Bortolo, grosso modo nella zona di viale Verona, via Beata Maria Chiara e via Parenzo.

Il fascino, per me, è forse più probabilmente legato ad un dato biografico: è il quartiere dove ho trascorso l’infanzia, in cui ho frequentato le scuole elementari e quelle medie. Quando dico “insignificante”, intendo un’area di scarso interesse dal punto di vista monumentale, fuori dalle mura medievali, uno spazio riempito perlopiù da ville private. Con un paio di eccezioni: l’area del cimitero e la bella villa Tracanella Barbirolli.

Monumenti antichissimi (e ignoti)

Quel che rimaneva del fascino di via Beata Maria Chiara è stato spazzato via anni fa, con il taglio dei pini marittimi, che punteggiavano lo stradone che conduce al camposanto, rimpiazzati da discreti cipressi. Nella celeberrima mappa settecentesca del Mortier è visibile, in una distesa di campi coltivati, che conduce da porta San Bortolo all’antichissima chiesa di Santa Maria dei Sabbioni e al cimitero. La chiesa – che sarebbe sorta per conservare un’immagine della Madonna in odore di miracoli – è lì almeno dal tredicesimo secolo. Ancora oggi, affacciandosi all’inizio del viale, la chiesa completa perfettamente la prospettiva.

Proprio al capo opposto del viale sorge villa Tracanella Barbirolli, edificio antico, che deve la sua forma attuale ad un intervento compiuto negli anni Cinquanta dell’Ottocento. Oggi la villa è assediata dall’accozzaglia di villette e palazzi costruiti su quelli che un tempo erano ampi appezzamenti di terreno agricolo.

Ed è questo un altro elemento di fascino di questa zona, l’ essere stata per lungo tempo un relitto di campagna appiccicato alla città. Lo ricordo così negli anni in cui ero bambino, in cui si potevano ancora vedere campi coltivati e raccogliere bruscandoli lungo le reti di confine.

Quel che resta di un’antica campagna

Di questa identità rurale restano sempre meno tracce: la fattoria con viti e terreno agricolo in fondo a viale Beata Maria Chiara è diventata una sontuosa villa, che di rurale non ha più nulla. La graziosa via Stacche, dove si trova l’ombroso cimitero ebraico, più avanti offre ancora la percezione di essere già in campagna, anche se lo sfrecciare delle auto in tangenziale non è esattamente un cinguettare di uccellini, mentre l’asfalto e il cemento dei nuovi quartieri residenziali cancellano di anno in anno nuove porzioni di terra e vita.

Anche se non c’è più la campagna, resta un quartiere ricco di natura, in cui è ancora possibile incontrare merli, tortore, gazze, ghiandaie, pettirossi, passeri, cinciallegre e molti altri pennuti. Grazie ai molti gradini, ma anche al suo involontario polmone verde: l’ex caserma Silvestri, abbandonata da decenni, e ormai divenuta un vero e proprio bosco (speriamo non la riqualifichino mai). Nei giardini delle case gironzolano ancora i ricci (oltre ovviamente a qualche sorcio).

Infine, per arrivare in quest’area da porta San Bartolomeo, si imbocca il piccolo vicolo Viviani, in cui ho passeggiato mille volte e che conserva in qualche modo il fascino di una stradina antica, con la sua teoria di casette allineate lungo il perimetro delle mura scomparse. E ovviamente la sua teoria di brutture architettoniche sul lato opposto.

Vedi, insomma, come un’area insignificante per un turista (e perfino per un autoctono) possa rivelarsi ricca di storia, di memorie e di suggestioni, se si trova il tempo di passeggiarci con la testa e con il cuore, oltre che con i piedi e con gli occhi.

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