Nel 2050 dite pure addio a Venezia. Il dibattito sul futuro del Delta del Po sarà drasticamente risolto dalla scomparsa del Delta del Po. Gli abitanti di molti paesi e città affacciate sull’Adriatico dovranno cercare da vivere altrove. Tutta quest’area sarà sommersa dalle acque.
Almeno, questo dicono le previsioni sugli effetti del surriscaldamento globale, provocato dalle emissioni di anidride carbonica. E queste sono le previsioni meno catastrofiche. Le attività umane stanno aumentando la temperatura del pianeta. Nessuno – né i governi, né i singoli cittadini – si è particolarmente sbattuto per impedirlo. Ci aspetta un futuro da profughi climatici.
Un futuro neanche tanto distopico
Se l’opera del collettivo Moira Dal Sito, “Quando qui sarà tornato il mare“, prova a immaginare i cambiamenti del Delta ferrarese nel corso dei decenni, c’è un libro che invece inizia quanto tutto è già accaduto “Qualcosa, là fuori”, del giornalista e scrittore Bruno Arpaia, uscito nel 2016 per l’editore Guanda, è stato forse il primo romanzo di un autore italiano ad immaginare lo scenario neanche tanto distopico del nostro paese stravolto dal surriscaldamento globale.
Un libro dalla trama apparentemente semplice: un gruppo di profughi in fuga da un’Italia desertificata e nel caos si avventura verso il nord Europa, tra scenari allucinati, rivivendo un’odissea non molto dissimile da quella che affrontano i migranti che oggi attraversano l’Africa.
Di recente, lo accennavo qui, si è parlato molto di quanti libri si pubblicano in Italia ogni anno: troppi. Quello di Arpaia probabilmente non è sfugge al destino della maggior parte dei romanzi, di essere prodotti da consumare velocemente e rimpiazzare con altre letture.
Ma ha almeno una qualità di un libro importante: saper raccontare l’epoca in cui è stato scritto. E questo libro, al di là della semplicità del plot, ci racconta l’Italia e l’Europa di oggi, attraverso un’epopea futura: le migrazioni, le guerre tra poveri, l’Europa che si spacca e i paesi che si chiudono sempre più in se stessi.
Cos’è veramente la realtà in cui viviamo?
Curiosamente, corre di pagina in pagina l’ossessione per un tema: come il nostro cervello costruisce la realtà. Un tema che si riverbera in tutto il romanzo, dalla professione del protagonista (un neurologo, almeno prima della catastrofe) al titolo stesso, che richiama un saggio di Enrico Bellone.
Il nostro cervello, dice Arpaia, seguendo le orme di Bellone, costruisce la realtà. Letteralmente. Ciò che vediamo, sentiamo, annusiamo, gustiamo, tocchiamo, non è che una rappresentazione che il nostro cervello mette insieme, come un racconto, per dare senso e ordine al caos lì fuori.
Il tempo, lo spazio, il movimento sono le forme che diamo a quel “qualcosa là fuori” per riuscire a viverci dentro. C’è qualcosa, lì fuori, ma non sappiamo cosa sia. Possiamo solo affidarci al racconto che la nostra mente ci fa, interpretando continuamente gli stimoli che riceve.
Ci ho pensato a lungo, al nesso tra queste due cose. Forse perché ho questa ansia di trovare una morale, una chiave di lettura, un finale. Forse la morale è che quel “qualcosa là fuori” un domani sarà effettivamente il caos. Il mondo è destinato a cambiare radicalmente. E il nostro ordine ad essere sconvolto.
E che in questo caos, ancora una volta, l’unica cosa che sapremo fare sarà costruire disperatamente una narrazione, un ordine sopportabile in cui provare a vivere nuovamente.
Una prima versione di questa recensione è uscita nel 2016 nel vecchio blog della rivista REM.
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