Il gruppo che non c’era #10: Credi ai giganti? (Gli Arachide, sì)

All’inizio del 2007, Gianni lascia la città per trascorrere qualche giorno nella splendida isola di Lanzarote, per una sorta di viaggio premio gentilmente offerto dalla ditta per cui lavora.

La sera della partenza, gli Arachide quasi al completo – con l’eccezione di Barbara – lo accompagnano in stazione dei treni e, in attesa che la locomotiva arrivi, si fermano a bere un bianchetto alla vicina pizzeria Re Artù. Qui è in corso una serata karaoke, a cui la presenza della band imprime inaspettato brio: Gianni, infatti, non vede l’ora di esibirsi in tutta la sua maestria vocale, così delizia con la consueta verve il pubblico, cimentandosi in vigorose interpretazioni di alcuni brani di Gianni Nazzaro e Gianni Morandi.

Terminato di celebrare la musica di vari cantanti suoi omonimi, abbandona in tutta fretta il locale per non perdere il treno, senza nemmeno degnarsi di firmare autografi, schioccare baci e raccogliere reggiseni lanciati dalle sue ormai numerose fans.

Arriva la hit dell’estate

Volato via Gianni, la band resta temporaneamente orfana di tamburi e piatti, ma non si perde d’animo e si trova per delle prove semiacustiche, appunto senza batteria e percussioni, di cui i vicini di casa di Mario sono ancora grati. (…)

Il questo clima lento e acustico, nascono comunque alcuni brani di un repertorio soft, che verranno in seguito rivisitati più e più volte: ad esempio, “Countdown” e “Tom Petty, perché no?”, che un giorno diventerà una canzone fighissima, ma comunque non entrerà in alcun disco. (…) La settimana dopo torna Gianni e viene ripreso il brano “Perchè no?” (Tom Petty, frattanto, è sparito dal titolo), che diventa una figata, sul quale Nicola innesta un assolo bello bello bello. (…)

E’ il 15 gennaio, Barbara non c’è e a fine serata Mario offre a tutti un goccio di grappa messicana al mescal con il verme, che lascia ai ragazzi quel tipico sapore di pupù di cane in bocca. Ciò influirà anche sul missaggio delle registrazioni da parte del tastierista, che produrrà alcuni brani lisergici come “Finto mulo” (un assolo di batteria, ottenuto mixando mille frammenti scartati) e una versione di “Sogni infranti” non necessaria, il cui ascolto provoca spasmi addominali.

Questo stato alterato di coscienza, comunque, non ha alcuna attinenza con l’assenza di Cesco alle prove del 12 marzo (semplicemente impegnato altrove), durante le quali Nicola tira fuori una nuova canzone con l’armonica a bocca. (…) Secondo Gianni, la canzone è destinata a diventare una hit e a vendere milioni di dischi, roba da far impallidire i Righeira.

Nelle intenzioni, è una canzone tra Tom Petty, “There she goes” dei Velvet Underground e i Sixpence none the richer, con un orecchiabile riff di armonica in do. Davvero carina, anche se decisamente commerciale e ammiccante. Bastava che mancasse il pianolista per combinare qualcosa.

Purtroppo, però, la nuova “hit dell’estate”, prima di una serie di illusioni di onnipotenza da parte della band, viene temporaneamente accantonata per dedicare le energie ad un’importante data: l’esibizione dal vivo, il 15 aprile, al matrimonio di Fabio, un amico di Gianni e Mario.

Come sempre, quando l’atmosfera è di sbraco, domina l’istrionico Gianni, che si autoproclama cantante e animatore, oltre a sfoggiare uno smoking che farebbe invidia James Bond.

Il confronto con vs. senza un pianista bravo

Il 20 aprile arriva finalmente la risposta ad una domanda che gli Arachide Jumbo si pongono da molto tempo: la band ha davvero bisogno di un tastierista che sappia suonare?

La risposta è “sì”. Un bisogno disperato, come conferma l’apparizione nei sotterranei di Villa Serico del mitico Claudio “The wolf” Lupo (celebre e acclamato tastierista dell’incredibile band The Twisters with Alice Violato), nel corso di un’ordinaria sessione di prove.

Nella classifica dei migliori pianolisti che hanno collaborato con gli Arachide Jumbo, Claudio – con le sue dita incantate e il suo gomito del pianista – risulta secondo solo ad Andrea Fusaro, e solo perché il “Zizzo” ha registrato un disco con la band. (Per questione di decoro, qui non andremo a svelare in quale posizione della classifica si trovi Cesco).

Con Claudio alle pianole gli Arachide Jumbo si scatenano nell’esecuzione di alcuni classici del repertorio di cover (“Call me the breeze”, “Tush”, “Night time is the right time”) e abbozzano pure “Come together” dei Beatles, che in seguito entrerà in pianta stabile nel repertorio. Il pianolista guarda e impara, e soprattutto registra, che è ciò che gli riesce meglio.

La settimana successiva “The Wolf” non c’è e si sente.

Gli Arachide si dedicano, citando Gianni, “in parte a fare le cose che non sappiamo, però sono state già trattate, e in parte a rinverdire tutto ciò che facciamo con soddisfazione reciproca”. Ovvero, si abbozzano brani per il disco che mai uscirà (…) e si rispolverano le cover tanto per tenersi in allenamento.

Non mancano naturalmente prove dedicate quasi integralmente a discutere del destino della band, secondo un copione consolidato.

Gianni rimarca il fatto che “siamo uno strano gruppo” e che “tutti gli altri suonano e noi no, maledetto sia el sindaco de Grignan”, dove “suonano” sta per “si esibiscono in pubblico”, tornando insomma ad evidenziare il bisogno di salire sui palchi più prestigiosi con un repertorio di cover.

Cesco non è d’accordo, come afferma lapidario: “A me di fare le cover non me ne frega un cazzo”. Ma fa il democristiano: “Dobbiamo trovare un compromesso tra le esigenze di tutti”. Anche Nicola non è d’accordo, sostiene che “non ha senso suonare per un ‘se’” e taglia corto: “Riduciamo la questione a una domanda semplice: vogliamo fare le cover o vogliamo fare roba nostra?”

Anche Mario fa il democristiano e sentenzia: “Io sarei più portato a fare fusion, ma ho accettato volentieri i compromessi”. Infine Barbara ci rammenta che “tutti hanno iniziato con le cover” e che comunque “Dobbiamo essere più professionali”, tanto per evidenziare un altro tasto dolente della band.

La calda estate dell’Arachide Jumbo

Mentre il dibattito prosegue vivace e serrato, si prosegue per inerzia anche ad esibirsi in pubblico, anche se con un numero sempre minore di date in calendario: il 1° giugno la band è ancora una volta nel programma della Notte Bianca di Rovigo, in zona Bar Venezze.

Stranamente in questa occasione il nome sul volantino è scritto giusto, ma non si verifica comunque un afflusso di pubblico superiore alla media.

La prova successiva, il 7 giugno, la formazione è sempre più ridotta all’osso: di fatto si ritrova solo il duo Astolfi & Casoni, con l’intenzione di riprendere in mano il materiale di propria produzione. Nel corso della serata, il duo produce alcune cose non destinate a entrare nell’Olimpo della musica, ma comunque di un certo pregio, tra cui alcune idee solitarie del pianolista, un paio di spunti interessanti di chitarra e un pezzo in cui Nicola tenta di rifare la colonna sonora di “Dead man” di Neil Young o forse sta solo accordando lo strumento.

In questo periodo è ormai chiaro che ci sono abbastanza brani per pensare ad un disco. Di conseguenza, il pianolista e il chitarrista iniziano a pensare ad un disco.

Il disco mai realizzato

Il titolo che svolazza nelle loro vispe testoline è “Credi ai giganti?”, ispirato da una nota barzelletta del repertorio umoristico di Gianni. Ma il titolo, in verità, viaggia tra la barzelletta e la riflessione profonda, perfetta sintesi dello spirito Arachide Jumbo. Per riassumere la questione con parole di Nicola, “spesso ci mettiamo sulle orme dei giganti e affidiamo a loro le nostre convinzioni”.

“In un panorama musicale desolante, in cui a calcare i palchi sono gli esecutori e non i musicisti, e in cui fare musica significa mostrare la propria tecnica e non la propria cultura, “Credi ai giganti?” è la chiave di volta per cambiare strada”, scrive un pianolista polemico e ottimista su Myspace (…).

Il cd vorrebbe nascere dalla mole ormai sterminata di canzoni e performance improvvisate in quegli anni. In giugno, dunque, il tastierista si mette di buzzo buono a raccogliere il materiale in una sorta di rozza demo, che contiene ben 17 brani, alla faccia dei superstiziosi, nati in quel periodo di effervescente creatività. (…)

Il cd demo sarà pronto in autunno, ma rimarrà una demo in eterno, tra tentativi di riprenderlo, concerti di cover da preparare e nuove idee che nascono in continuazione.

Concerti per gli alieni e cose così

Il 20 giugno il chitarrista arriva alle prove, sostenendo di aver avvistato, intorno alle 21.30, “un oggetto rotondo e molto luminoso” nel cielo. Sbertucciato a più riprese da Cesco e Mario (“Sarà stato un aereo a dodici metri di quota!”, “Sarà stata la luna che si muoveva!”, “Avrai fumato dell’erba medica avariata!”), Nicola si ostina tuttavia a confermare la sua visione.

Mario, per nulla stupito dall’esistenza degli Ufo, dispiega alla band la sua conoscenza enciclopedica in materia di astronomia, alieni, rettiliani, grigi, Nibiru e così via, confessando il suo sogno di incontrare gli alieni “per farci due chiacchiere”.

Si pensa dunque di organizzare un grande concerto a cui invitare i nostri amici alieni, anche per chiedere loro: “perché cazzo un essere evoluto si è sparato diecimila anni luce di strada per venire proprio a Rovigo?”

Un aneddoto simpatico (tra parentesi)

In questo periodo, come s’è detto, causa assenze varie del batterista e addirittura della cantante, capita spesso che le prove prendano una piega acustica e straniante.

Una sera, ad esempio, in sala prove ci sono solo Nicola, Cesco e Mario. Ne nasce una performance sui generis, in trio acustico (…) Chissà perché, in seguito il tastierista ha la bella idea di pubblicare questo suggestivo materiale acustico su Myspace, non con il profilo ufficiale della band, ma creando un nuovo profilo, attribuito ad un gruppo completamente inventato, gli Hosam Quartet.

Il quartetto farlocco, il cui nome si ispira ad un giovanissimo suonatore di oud conosciuto su Myspace, si presenta così: “Mai sentito parlare di medici arrestati per esercizio abusivo della professione? Hosam Quartet nasce proprio per dare riparo ad alcuni tizi nei guai con la legge per essersi spacciati per veri musicisti presso alcuni locali della zona di Lozzo Atestino. Mancando un vero batterista, un vero chitarrista, un vero bassista e soprattutto un vero cantante, i quattro millantatori hanno l’abitudine di scambiarsi gli strumenti a seconda della voglia di fare.

Oltre ad una line up in continua rotazione, l’altra tendenza sul palco è quella di non eseguire mai le canzoni come farebbe una band normale, ma di partire con un riff per poi dilungarsi in una lunga improvvisazione, fino a ritrovarsi nel finale. Giudizio della critica: “C’è a chi piace e a chi no”. Ascoltate e giudicate voi.

Finora, proprio per queste originali caratteristiche, la produzione della band consta in una serie di bootleg diffusi per mano di amici e in barba alla Siae. Rari i lanci di bottiglie ai concerti. Una volta un tizio ubriaco ha lanciato la fidanzata sul palco. E’ stato un errore, ma la band ha gradito lo stesso. La nostra biografia la scriviamo giorno per giorno”.

Sono i tempi in cui furoreggia quella lagna melensa che è l’indie rock, quindi questa menata ha una sua coerenza. Infatti gli Hosam Quartet finiscono per avere quasi più successo degli Arachide Jumbo, ricevendo anche una richiesta di una demo (naturalmente mai evasa) e un “abbracci provinciali sulle panchine smantellate” da Vasco Brondi de Le Luci della Centrale elettrica. Mah.

Gelati in sala prove

A fine luglio si lavora intorno a materiale composto dalla band, nonostante il caldo torrido, che ad un certo punto spinge cantante e tastierista a sgattaiolare fuori dalla sala prove e vagabondare intrepidi per Granzette a cercare dei gelati, lasciando sezione ritmica e chitarra a suonare da soli. I gelati arriveranno a destinazione quasi del tutto squagliati.

Per la cronaca, le carte dei gelati rimarranno in sala prove più o meno fino al 2009 o 2010, durando dunque più della memoria delle canzoni composte in quella serata. (…)

In questo periodo non mancano comunque le occasioni di esibirsi live.

L’8 agosto è in calendario una performance di “Marcondiro ‘ndero”, ancora una volta a Sarzano, ma questa volta con l’intera formazione dell’Arachide Jumbo sul palco. Dunque, Nicola soppianta alla chitarra Paolo Serico e Barbara strappa il microfono a Chiara Greggio.

Il 22 settembre la band è di nuovo alla Notte Bianca a Rovigo, ancora in corso del Popolo, davanti al prestigioso bar Venezze. Per non perdere la tradizione, questa volta sulla locandina figura come “Arachide Jambo”, storpiatura su cui ancora ci si interroga.

Il termine “Jambo” (sostanzialmente “Ciao” in swahili) sarà reso celebre solo 12 anni dopo da una hit estiva di Takagi e Ketra, quindi all’epoca i più raffinati linguisti rodigini si divisero tra opposte scuole di pensiero: chi vi vedeva un rimando al giambo, metro della poesia greca del settimo secolo prima di Cristo (giorno più, giorno meno), chi invece vi leggeva la storpiatura della parola francese “jambon”, che identifica il prosciutto, forse suggerendo un ardito accostamento gastronomico con la frutta secca, che tuttavia non risulta presente in nessuna ricetta tradizionale anglo-iberica-pugliese.

Il 12 ottobre ci si ritrova al gran completo e in forma smagliante, con Barbara cantante e comandante dalla prima all’ultima nota.

Poche settimane prima, Gianni era stato alla tappa padovana della trasmissione radiofonica “Il ruggito del coniglio”, pur senza degnarsi di fare promozione alla sua band del cuore. (…)

La settimana dopo si prova senza cantante, tra musica e discussioni.

All’inizio delle prove, Gianni si prodiga nella sua descrizione di come dovrebbe essere il suo cantante ideale, sguaiato e “figlio di puttana”, tentando anche di riprodurre come dovrebbe gridare selvaggiamente sul palco: ne risulta un suono simile più che altro all’imitazione dell’ocelotto che lotta con una tarantola nella savana. 

Poi una buona fetta della serata se ne va a provare e riprovare “Prossima fermata Stalingrado”, un evergreen dell’Arachide Jumbo, il cui titolo è stato ispirato al pianista da una frase sentita pronunciare dalla voce elettronica su un autobus a Bologna. (…)

La tipica session di composizione dell’Arachide Jumbo prevede in genere discussioni di questo tenore:

  • Mario: “Bello, sì, si può fare”
  • Nicola: “Dobbiamo seguire la voce”
  • Barbara: “Io ci farei tre note/un arpeggino”
  • Gianni: “Io ci farei un virtuosismo alla Banco del Mutuo Soccorso”
  • Cesco: “Io toglierei tutti gli assoli”
  • Mario: “Facci un bel tappeto di archi con le tastiere”
  • Nicola: “Gianni, cava un po’ di roba di batteria”
  • Gianni: “Hai presente quei crescendo di tastiere Uooooooooonnn…?”
  • Mario: “E se la tastiera facesse il suono dell’arpa celtica? Fammi sentire com’è l’effetto…”
  • Gianni: “Il basso deve avere un effetto più Ummmm Ummmm”
  • Barbara: “Pensavo a una cosa in cui uso la voce come strumento”
  • Mario: “Ricordati che lo swing è una grande palestra”.
  • Nicola: “Non me ghe gato” (trad. Non mi ci raccapezzo proprio).
  • Gianni: “Potresti fare un assolo di tastiere che replica la linea di voce”
  • Cesco: “Faccio una nota lunga?”
  • Mario: “Qui passerei a una ritmica un po’ tipo swing…”

Il 14 dicembre manca di nuovo barbara, quindi i quattro superstiti si cimentano in una sessione tutta strumentale, dalla durata spropositata e dai volumi quasi da record, tra tentativi di fare i Pink Floyd, sintetizzatori sparati a tutta canna e brani di trenta minuti come fosse niente. Il brano “Derattizzazione” (13 minuti e mezzo) suggerisce fin dal titolo il raggiungimento di volumi tali da provocare la fuga di ogni forma di vita vertebrata e invertebrata nascosta nei pertugi dei muri circostanti. (…)

Il pezzo forte, però, è Gita scolastica in Antartide, che assieme a brani come “Ultima fermata Stalingrado” e “Onda sonora” è destinato a restare tra le cose migliori improvvisate dagli Arachide Jumbo (e ovviamente mai registrate seriamente in seguito). (…) La serata si conclude con alcune barzellette classiche di Gianni dedicate al misterioso e affascinante popolo dei sardi e al loro ambiguo rapporto con le pecore.

Se questo pezzo non ti è sembrato già abbastanza lungo, ne trovi la versione estesa nella biografia ufficiale de “Il gruppo che non c’era”, acquistabile qui. Solo per il web, invece, la locandina della Notte Bianca incriminata.

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