“Provate, un giorno, a socchiudere con delicatezza la porta della camera dei vostri bambini. Li vedete in fondo alla stanza giocare per una volta tranquillamente fra loro, lontani dal sostegno e dal giudizio degli adulti, forse liberi, forse estraniati, poco importa”.
Il filosofo Pierre Zaoui apre così il suo “L’arte di scomparire. Vivere con discrezione” (la scheda qui): introducendo il lettore in una situazione che probabilmente avrà sperimentato o che, in ogni caso, è in grado di immaginare. Quella di farci da parte, osservare le persone care slegate dal nostro condizionamento, dalla nostra stessa presenza. L’emozione che accompagna questa esperienza è una forma particolare di gioia ed è una gioia silenziosa, effimera, effettivamente discreta.
Alla discrezione Zaoui dedica questa esplorazione, che cerca non solo di delineare una “esperienza”, ma anche di comprendere quali siano le sue radici nella cultura occidentale e in quale misura essa sia una “arte” e abbia una dimensione politica.
L’arte della discrezione non ha nulla a che fare con altre forme di fuga dal mondo, per odio verso il mondo stesso o per desiderio di autodistruzione. Somiglia più al modo di guardare il mondo dei popoli amerindi – con il loro porre “il mondo prima della vita, la vita prima dell’uomo e il rispetto degli altri prima dell’amor proprio”, citando Lévi-Strauss – che non ai pilastri del pensiero occidentale. E’ ben lontana, sottolinea il filosofo, dallo stoicismo e dall’epicureismo. E non c’entra nulla neppure con l’esperienza di ritirarsi dalla società in cerca di Dio o di sé stessi. E’ invece proprio abbandonare sé stessi, spostarsi dal centro del mondo, per lasciare il centro ad altri, compiendo in questo modo un atto creativo. E “un puro lasciar essere delle cose”.
L’arte della discrezione è moderna, si lega alla nascita della città e della folla.
E’ “micropolitica”, sovversiva, democratica, capace di liberare. Ma soprattutto, capace di offrire felicità. E’, quella delle anime discrete, una felicità sui generis: distante da quella che pretende di nascere dall’avere, dal possesso di soldi, oggetti e gloria, ma anche da quella che pretende di nascere dall’essere (colti, saggi, virtuosi). Una felicità effimera, ciclica, che non promette l’eternità.
Si intuisce facilmente – e Zaoui lo rimarca – quanto essere discreti sia un atto politico, sostanzialmente sovversivo, nella società della visibilità e dell’esposizione mediatica e social, della sorveglianza e del tracciamento, con dinamiche sinistramente simili a quelle di società totalitarie.
Ma vale la pena sottolineare l’altro aspetto “sovversivo” della discrezione, rispetto alla società in cui viviamo: l’arte della discrezione mette al centro l’altruismo, la leggerezza e una forma effimera di felicità. Ci offre di esplorare una dimensione alternativa tra accettare di vivere animati dai “valori” del possesso, dell’accumulo, dello sfruttamento senza ritegno di cose e persone, della soddisfazione dei bisogni individuali, o in alternativa di ritirarci disgustati dagli altri in un’improbabile fuga dal mondo.
Di Pierre Zaoui è da poco uscito “Bellezza dell’effimero. Apologia delle bolle di sapone” (qui la scheda). La mia prossima lettura, quest’estate.
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