Offrire una tazza di té caldo al nemico, nel giorno della Liberazione

Nelle storie raccolte in riva al Po dallo scrittore Guido Conti c’è quella dell’uomo di Guastalla che salvò la vita a Benito Mussolini e passò gli anni successivi a maledire quel giorno.

Si chiamava Vittorio Re, era uno stalinista e aveva tutto sommato ottime ragioni per inveire contro quel suo gesto, che aveva segnato la Storia d’Italia. Inconsapevolmente, va detto, perché, quando Mussolini rischiò di affogare nel Po era solo un giovanissimo maestro in un piccolo paese, Pieve di Saliceto. E chi mai avrebbe immaginato che quel neanche ventenne dai folti capelli ricci, “magnetico e scontroso”, sarebbe diventato il dittatore alla cui guida il Fascismo picchiò, uccise e imprigionò, compì vergognose stragi nei Balcani e in Africa, proclamò le leggi razziali e infine trascinò tutti nel baratro della guerra a fianco di Hitler?

Aveva certo le sue ragioni per maledire pubblicamente quel giorno, il salvatore del futuro Duce. Ma in fondo aveva fatto solo quello che era giusto fare in quel momento: salvare un essere umano.

Era la cosa giusta allora, come fu giusto dopo “fare ciò che andava fatto” (parafrasando molto liberamente un altro bellissimo e notissimo romanzo, pietra miliare della narrativa sulla Liberazione).

Tre soldati nazisti nel fosso

In questi giorni mi sono tornati in mente anche gli aneddoti raccolti in famiglia, sulla Liberazione nel ferrarese, quando le truppe Alleate avanzavano e quelle naziste sbandavano verso nord, così disperate da gettarsi nel Po pur di sfuggire alla fucilazione. E lì spesso affogare.

In una di queste storie vere, c’erano tre soldati tedeschi, tre ragazzi sporchi e malmessi, nascosti in un fosso. Chiamarono alcuni ragazzini, chiedendo loro di andare dalle truppe inglesi accampate lì vicino, per dire loro che si volevano arrendere.

Erano i giorni intorno al 20 aprile, quando gli Alleati avevano da poco conquistato (e devastato) la zona di Argenta e Portomaggiore nella loro avanzata verso l’Italia settentrionale.

Quella ambasciata di ragazzini non solo evitò ai tre di finire crivellati di proiettili appena usciti dal fosso. Ma portò anche ad un finale imprevisto: i tre furono portati al campo inglese, ovviamente come prigionieri. E lì furono rifocillati con pane imburrato e ovviamente tè caldo.

Una piccola storia di umanità

Finisce qui, questa storia, con tre nazisti che, grazie ad uno sguardo pietoso, si rivelano essere tre soldatini terrorizzati. E con un militare inglese che, invece di un atto di vendetta, ha scelto un atto di pietà.

Mi è sempre sembrata una storia importante. Anche se non ho alcun dubbio che il Fascismo e del Nazismo siano spazzatura di cui non ci sia nulla di buono da salvare. Anche se sono convinto che essere fascisti o nazisti, oggi in particolare, sia da idioti, oltre che da prepotenti e in genere da vigliacchi.

Però alle foto del duce appeso a testa in giù continuo a preferire questa piccola storia di umanità. Là vedo solo un omino che ha raccolto ciò che ha seminato: odio e morte in cambio di odio e morte. Ma non vedo un barlume di speranza, di pietà e umanità. Eppure credo che siano state queste le qualità più belle delle donne e degli uomini chehanno lottato prima per liberare l’Italia dalla dittatura, poi per ricostruirla e trasformarla finalmente in una democrazia.

(L’aneddoto su Mussolini e il suo “salvatore” è riportato nel romanzo “Il tramonto sulla pianura” e nel saggio-viaggio “Il grande fiume Po”, entrambi di Guido Conti)

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