Le mie spensierate letture da spiaggia: Guido Conti, “Il tramonto sulla pianura”

Ho scritto in precedenza come ci siano pochissimi autori per me assolutamente affidabili da portare in vacanza.

E uno di questi è Guido Conti, di cui un po’ alla volta sto recuperando tutta l’opera (l’anno scorso era venuta con me in vacanza “La profezia di Cittastella”), oltre ovviamente a divorare le ultime uscite (qui la mia recensione de “La siccità”).

Di Guido Conti ho ritrovato per Guanda “Un medico all’opera” (ne scriverò prossimamente) e questo “Il tramonto sulla pianura”, che mi ha accompagnato in vacanza e al ritorno con i suoi personaggi indimenticabili: un gruppetto di vecchi in una casa di riposo. Sono partito da questo, ispirato anche dal fatto che nell’ultimo paio di anni mi sono dedicato a scrivere una storia di vecchi in fuga da una casa di riposo (ne trovate frammenti qui, qui e qui), con un protagonista chiamato il Conte.

Qui c’è invece il duca, anziano con monocolo e abbigliamento sempre sopra le righe, che vanta nobili origini e una discendenza sparsa per il mondo, ma che trascorre la vita in casa di riposo a sentenziare (e spettegolare) in compagnia di Frusta, un poeta, la cui testa pelata è stata oggetto di un miracolo divino. Li incontriamo al funerale della moglie di Eugenio, il protagonista, e sono subito scintille.

Quando anche Eugenio finirà in casa di riposo, il gioco del destino li farà diventare amici inseparabili. Almeno quanto possono essere amici tre vecchi pieni di spocchia, malinconia e paura del futuro, sempre pronti ad affettare anziani messi peggio di loro o il personale della Villa con le loro battute affilate.

Tre antieroi, di fatto, a partire da Eugenio, che del “buono” ha molto poco. Ma che si presenta così, al tragico Bertolotti vittima delle sue insolenze: “Io non sono cattivo. Vedo la realtà com’è. E’ la realtà che è cattiva, io non dico nessuna cattiveria”.

Dietro all’adorabile “cattiveria” di Eugenio o del duca, in verità, si cela la malinconia della vecchiaia: è la fitta che li prende ogni volta che percepiscono di avere perso per sempre la giovinezza, è la vertigine che attanaglia quando si contano più anni di vita alle spalle, che davanti.

Così, mentre trascorrono le giornate con le loro storie di esseri umani alla fine della vita, finisce che ti affezioni a Eugenio o a Bertolotti e perfino al povero direttore Ansaloni, come fossero persone vere. E quando arrivi all’ultima pagina te la gusti lentamente perché finisca il più tardi possibile.

“Il tramonto sulla pianura”, comunque, fa ridere tantissimo. E’ i suoi protagonisti: capace di provocare un riso dolce e amaro, come una commedia di Monicelli. E’ in verità una girandola di storie, che si susseguono nelle piatte giornate della casa di riposo, alcune bizzarre, altre toccanti, altre trascinanti, come quella – lunghissima – dell’irriducibile fascista Pessina, che da sola avrebbe meritato un romanzo.

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