Mi pongo da sempre la sfida del linguaggio in molte cose di cui mi occupo per lavoro: come rendere chiaro e accessibile a tutti una materia che in genere viene presentata in modo criptico e faticoso?
Parlare di “reinserimento lavorativo” in modo semplice
Quando cerco di insegnare qualcosa di comunicazione a chi non la fa di mestiere, cerco di dare pochi consigli essenziali. Uno di questi è: se una parola non ti fa venire in mente un oggetto tangibile, non funziona. Ho la sensazione che il succo sia questo, anche quando parliamo di storie, ricordi, emozioni.
Dunque, è piuttosto controverso maneggiare qualcosa che ti viene presentato come “un progetto per il reinserimento lavorativo di persone espulse dal mercato dal lavoro”.
Con le colleghe di Zico Lavoro, quindi, abbiamo avuto l’idea di far parlare i protagonisti dei tirocini di inserimento lavorativo che curiamo. Per raccontare le storie vere che hanno vissuto in questo periodo in azienda.
Perché raccontare delle storie?
Il senso di questa piccola campagna di comunicazione è, spero, semplice:
- Aiutare a capire cos’è un tirocinio, uscendo dal “tecnichese” tipico del nostro settore e riportando gli aspetti più chiari, pratici e comprensibili: come funziona, quali difficoltà incontra l’azienda, quali il tirocinante, cosa si impara, come si gestisce, ecc.
- Raccontare il punto di vista delle aziende ospitanti, per bocca del loro tutor, partendo soprattutto dai nodi critici e dagli intoppi lungo il cammino, cercando di capire come sono stati affrontati e risolti
- Dare un volto e una storia a persone che, altrimenti, rischiano di essere appena dei numeri da bilancio sociale
Raccontare storie consente di coinvolgere anche con il potere delle emozioni. Lo dicono i manuali.
C’entra qualcosa con quell’oggetto tangibile di cui scrivevo sopra? A me sembra di sì. Ad esempio, i ricordi d’infanzia di un tirocinante diventano “i tacchetti dei rugbisti che entravano in campo”. Un altro parla della sua esperienza in una mensa popolare soffermandosi sulla macchina del caffè e sul bar dei suoi genitori.
Il giusto equilibrio per raccontare senza fare spettacolo
A essere sincero, ho iniziato con un po’ di apprensione questa esperienza di narrazione dei percorsi di inserimento lavorativo di Zico. Vedevo davanti a me una passeggiata sul filo, in precarissimo equilibrio tra l’importanza di raccontare queste storie e il pericolo di ridurre tutto ad un’esibizione di fatti e persone.
Trovare il tono giusto (e le parole giuste) ha richiesto un grande lavoro di lima. Ho scelto di essere asciutto, giornalistico, di ritrarre delle persone per come le ho viste, senza sbrodolature sulle loro vicende personali.
Ho anche scoperto che ai protagonisti ha fatto piacere raccontarsi. E che leggere di loro sui social o sulla stampa ha fatto piacere ad altri.
L’altro ieri un amico mi ha scritto per dirmi che conosce Michele da quando erano ragazzi e che non aveva sue notizie da tanti anni. Ci ha tenuto a scrivermi di lui, del fatto che è una brava persona (in verità l’avevo capito anche io).
Mi ha fatto felice scoprire (in verità non per la prima volta) che questo pochino di esposizione mediatica ha consentito di ritrovare, nonostante la distanza, un piccolo legame sfilacciato dagli anni.
Qui sotto tre storie che abbiamo raccontato nelle ultime settimane.

La storia di Michele
Michele ha ripreso il filo della sua vita lavorativa da un progetto “caritatevole”, che però è gestito in modo professionale (e innovativo): la Locanda della Casa a Rovigo.

La storia di Sandro
Sandro, invece, ha un forte legame con il Rugby Rovigo, come del resto molti rodigini. Non gli è parso vero, quindi, poter fare il suo tirocinio nel tempio della palla ovale: lo stadio Battaglini.

La storia di Claudio
Claudio, invece, è entrato a Confesercenti per dare una mano a digitalizzare e gestire una serie di pratiche. La sua storia ha un finale particolarmente felice: è stato assunto.
Per le interviste mi ha facilitato il lavoro la collega Valentina Toniolo, OML di Zico. I video sono stati realizzati da Matteo Marseglia, nostro freschissimo collaboratore.
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