Frammenti di una storia: Fuga verso la libertà

Come anticipavo un mesetto fa in questo post, ho una storia in mente, che non riesco a scrivere. Al momento è un quadernino pieno di appunti, schizzi e mappe, che ancora cerca di capire che forma deve prendere.

Dopo due anni che me la rigiro per le mani, ho pensato di iniziare a prendere le misure di questo nuovo universo narrativo, scrivendo una serie di racconti che lo raccontano per frammenti. Usciranno tutti sul sito di REM, che ospita anche la bottega on line dei miei romanzi.

Dopo avere conosciuto l’imprescindibile signor Giovanni, in questa seconda puntata ci caliamo in una scena d’azione… con sorpresa. Si legge come un raccontino a sé stante, ma è un passaggio cruciale della storia di cui sopra. E la terza puntata (in uscita prevedibilmente il mese prossimo) ci svelerà di più su uno dei protagonisti di cui si parla. Buona lettura a tutti voi 23.

Fuga verso la libertà

Non c’era voluto molto a mascherare il foro nel muro del bagno del terzo piano: se mai
qualcuno si era accorto di quel pezzo di cartone dipinto alla meno peggio e appiccicato nel
buco tra le piastrelle, probabilmente aveva pensato ad un lavoro fatto al risparmio, come
accadeva di norma in quella struttura.

Il fatto è che era impossibile che qualcuno in quei mesi potesse cogliere indizi del piano di
fuga.
Osvaldo lo sapeva: là dentro chiunque si faceva gli affari suoi. Figurarsi se una signora
delle pulizie si sarebbe accorta dello sporco rimasto per terra ogni volta che un pezzetto di
muro era stato scavato via con il cucchiaio. Avrebbe al massimo scrollato il capo, pensando
che quella razza di trogloditi si meritava proprio di essere rinchiusa lì dentro.

E sapeva bene, Osvaldo, che nemmeno il viavai notturno per completare per tempo il tunnel
sarebbe stato notato.
Del resto, da chi? L’ultima volta che uno di loro si era sentito male nel
cuore della notte, era stato ritrovato stecchito nella branda solo la mattina successiva.
Proprio confidando in quella generale indifferenza da parte del personale, aveva elaborato e
condiviso il piano di fuga con altri congiurati: sfondare le piastrelle del bagno comune,
scavare nel muro, raggiungere i condotti di aerazione e da lì scendere nel seminterrato,
correre fino alla recinzione senza essere visti dal personale di sorveglianza.

Come in “Fuga da Alcatraz”, esatto. Lo diceva sempre, quando discuteva di cinema con
Luigi e con Carlo e alle volte anche con Nereo: certi filmoni di oggi erano inutili giri di giostra
senza capo, né coda. Molto meglio certi classici.

Osvaldo aveva due miti: Clint Eastwood e Emilio Salgari. Al primo si era ispirato per quel
folle piano di evasione, mentre dall’immaginario del secondo aveva fregato un nome di
battaglia. “Chiamami pure Sandokan”, aveva detto poche ore prima a Michele, che passava
come ogni sera a controllare che tutti fossero nei propri giacigli. E quello gli aveva pure
risposto (“Buonanotte, Sandokan, a te e a tutte le tigri della Malesia”), pensando che a quel
vecchio delinquente sciroccato era partita definitivamente la capoccia.

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