Possiamo non parlare più di “progetti”? Il mio corso di comunicazione con la Caritas

Quest’anno sono tornato a fare una cosa che mi piace molto: il formatore. E con un pubblico nelle mie corde (associazioni, gruppi e parrocchie), per quanto composto in larga parte da volti completamente nuovi per me.

Il corso di comunicazione che ho curato per la Caritas diocesana è stato una piccola rivoluzione personale, in cui ho provato a immaginare un modo tutto nuovo (per me) di fare lezione. Ed è stato uno spazio in cui coltivare nuove relazioni. Che è ciò che io cerco quando partecipo ai corsi in presenza.

Ma andiamo con ordine.

Il contesto: i progetti finanziati con l’8 per mille

La Caritas diocesana, anche quest’anno, si occupa di erogare i fondi dell’8 per mille attraverso un bando per progetti di parrocchie o associazioni. Nel 2022 ne sono stati selezionati 19, di cui 10 presentati da associazioni o altre realtà di ispirazione cristiana e 9 da parrocchie. Complessivamente il costo di tutti i progetti supera i 186 mila euro, di cui 113 mila sono coperti con i fondi 8 per mille, il resto dalle realtà che li promuovono.

Di cosa si occupano? Di una varietà di ambiti e attività, che vanno dai doposcuola e oratori parrocchiali ai servizi a sostegno di persone in difficoltà o emarginate, fino a progetti rivolti agli anziani soli o fragili. Una varietà di progetti che è soprattutto una varietà di persone impegnate, che coltivano un’idea di comunità, lo fanno insieme e soprattutto lo fanno con l’azione concreta.

Vogliamo raccontare questo mondo?

Quest’anno la Caritas diocesana di Adria-Rovigo ha voluto investire sul racconto di questi progetti, nella convinzione che “la carità sia contagiosa”. Ossia, che un buon progetto possa essere preso a modello da altre realtà. Per farlo, ha messo in campo un percorso di formazione con un “esperto”. Ed è qui che entro in gioco io.

Il mio primo non-corso di formazione

Come impostare un percorso sulla comunicazione con un pubblico molto variegato, composto in genere da volontarie e volontari che in associazione si occupano (e si appassionano) di tutt’altro?

Per 14 anni della mia vita professionale mi sono occupato di comunicazione nel mondo del volontariato (e tuttora, per la verità, collaboro con qualche realtà). L’idea di tornare a farlo con la Caritas è stata più che sufficiente a motivarmi. Allo stesso tempo, però, ho ben chiaro che un corso sulla comunicazione per questa platea rischia di volare molto alto, senza lasciare ai partecipanti strumenti utili.

In crisi dura, ho provato a buttare all’aria tutto quello che sapevo di un corso e fare qualcosa che non avevo mai fatto: un corso di formazione in cui la conoscenza emergesse, puntata dopo puntata, dai partecipanti stessi, anziché da un tripudio di slides.

Alla ricerca delle parole giuste

Nel primo incontro, dunque, non abbiamo nemmeno acceso un proiettore. Ci siamo affidati al classico cartellone e ad una quantità di post it colorati. Abbiamo dedicato un po’ di tempo alla scelta delle parole per descrivere i progetti, giocando un po’ tra riflessione seria e provocazione. Cercando quella via di mezzo tra la “fuffa” (l’eccessiva astrazione, l’enfasi sui valori) e la concretezza, la chiarezza.

Sia chiaro: i valori sono fondamentali. Ma occorre farli capire attraverso una storia, non ostentarli (si rischia, tra l’altro, di svuotare di significato le parole che li raccontano). Beh, diciamo che abbiamo compreso che la parola “doposcuola” è la parola migliore per descrivere… un doposcuola (vi sembra scontato? Non lo è affatto).

Ai partecipanti ho anche chiesto di descrivermi il loro progetto come se glielo avesse chiesto il fruttivendolo e dietro di loro ci fosse stata altra gente in coda. Provateci voi.

Possiamo non parlare più di “servizi” e progetti”?

Poi siamo passati a fare degli esperimenti con le storie. Quasi sempre, infatti, associazioni e volontari raccontano di “servizi”, “progetti”, “sportelli” invece di raccontare storie. Quali? Ad esempio quelle delle persone a cui i “servizi” cambiano la vita (o la rendono migliore). Ma anche quelle degli stessi volontari, con le motivazioni ed emozioni che li rendono umani, comprensibili anche a chi li guarda da fuori.

Le storie ci costringono a proporre un punto di vista. E quindi dovrebbero farci immaginare chi ci ascolterà.
Perciò abbiamo parlato anche di “strategia”. Ossia ci siamo chiesto che cosa vogliamo ottenere con le nostre attività di comunicazione. Domanda mica facile, ma secondo me cruciale. Molti, per la verità, non se la pongono proprio. Ma se non sai perché comunichi, come fai a capire come comunicare?

Voglio raccogliere fondi, voglio fare pressione sulle istituzioni, voglio trovare nuovi volontari o voglio semplicemente che la Caritas sia soddisfatta di avermi dato dei soldi? A seconda della risposta o delle risposte, si imbocca un percorso diverso. Fatto di nuove domande, naturalmente.

Le risposte a queste domande ci possono portare a usare strumenti creativi, che magari non ci sembrano “comunicazione” in senso stretto (prendiamo esempio dal signore qui sopra).

Tutti i miei sbagli

A fine corso, su suggerimento di Luisa e Alessandro di Caritas, abbiamo provato a gestire quella materia scottante che è l’ironia. L’esercizio (tosto) era condividere uno sbaglio clamoroso, che magari facesse ridere. Qualcuno è venuto fuori.

Un piccolo esercizio per pennellare di umanità un mondo spesso in difficoltà a gestire l’ironia, perché si occupa di cose troppo serie per riderci su.
Eppure non scordiamoci degli errori, degli sbagli, delle debolezze. Sono occasioni per imparare, per trovare alleati, per imboccare strade nuove. In fondo Cristoforo Colombo scoprì l’America per sbaglio. E a volte un errore di progettazione può diventare un punto di forza: pensate alla torre di Pisa!

E adesso?

Ci siamo salutati con un aperitivo nella bellissima aia della Casa di Abraham.

Dopo la pausa estiva, però, il percorso prosegue questo autunno. Come? Ovviamente non lo so.

Anche in questo caso, sarà in parte costruito (vorremmo finalmente raccontare almeno alcune di queste esperienze) e in parte improvvisato sulla base dei bisogni dei partecipanti. Quello che mi porto a casa è uno spicchio di mondo nuovo, fatto di persone appassionate di qualcosa, impegnate per una causa, ma anche ovviamente in cerca di strumenti e a volte di nuove energie. Magari in alcuni casi “stanche” come chiunque si occupi di una causa per anni, che nel corso hanno trovato anche solo un momento di conoscenza, reciproca, confronto, condivisione dei problemi e ricerca di soluzioni.

Io alcune di queste storie e di queste persone non vedo l’ora di farvele conoscere.

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