Il mondo scomparso di Guido Conti

Ho terminato di leggere quell’incantevole storia che è “Quando il cielo era il mare e le nuvole balene”, del parmense Guido Conti.

Di questo romanzo ha scritto una bella recensione l’amico e maestro Sandro Marchioro sul blog remweb.it (e, più ampiamente, sulla rivista REM in edicola in questi giorni), convincendomi da subito a procurarmelo e leggerlo.

Il termine giusto, però, sarebbe “divorarlo”. Anzi, farsi divorare. Perché il romanzo di Conti è uno di quelli che ti acchiappano subito e non ti mollano più fino alla fine. A pagina due, già ne ero innamorato. Dopo una manciata di capitoli, ci si trova già sballottati tra gioia, rabbia, tristezza, meraviglia, inquietudine, sorpresa, malinconia. Un turbine di emozioni che sorregge una storia che, per contrasto, si svolge invece in un microcosmo piuttosto delimitato e, soprattutto all’inizio, apparentemente statico.

E proprio questo piccolo mondo rurale, con i suoi protagonisti, le sue storie, le sue magie, vive e fa vivere al lettore i cambiamenti dell’Italia, dalla prima guerra mondiale al secondo Dopoguerra, fino al finire degli anni Cinquanta.

Arrivato all’ultima pagina, “Quando il cielo era il mare” mi è sembrato soprattutto questo: la storia di un mondo che è scomparso. Un mondo non molto diverso da quello dei racconti dei miei nonni, ma destinato a svanire con loro.

Eppure, non c’è solo la nostalgia per un microcosmo cancellato dai grandi cambiamenti della storia. Il finale è circolare e ci svela anche un “trucco” per salvare questo piccolo mondo, i suoi protagonisti, le sue storie e le sue magie. Che è il trucco di sempre: la scrittura, con il suo potere di creare mondi, ma anche, come in questo caso, di salvarli dalla morte della memoria.

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