Che fine farà un paese che respinge gli immigrati, che discrimina i più deboli, che promuove l’indifferenza e la cattiveria a valori sociali? Ve lo anticipo con la massima schiettezza: male. Malissimo.
Sto leggendo la riedizione di “Autunno tedesco” di Stig Dagerman, edita da Iperborea. Una raccolta dei reportage dello scrittore e giornalista svedese nella Germania rasa al suolo dalla furia della Seconda guerra mondiale. E’ un cupissimo racconto della vita dei tedeschi, ridotti a sopravvivere nelle città spazzate via dagli eserciti, incenerite da tonnellate di bombe, ridotte in macerie dai carri armati.
In una libreria ordinata nella mia testa – ché i libri, in casa mia, ormai stanno sparsi tra i più disparati mobili in tre o quattro stanze – “Autunno tedesco” sta a fianco di un altro gioiellino, scritto sempre da un anarchico, quel “Guerra alla guerra” di Ernst Friedrich, che raccontava gli orrori della Prima guerra mondiale per anticipare gli abomini anche peggiori del macello che presto sarebbe seguito.
Della guerra, Dagerman coglie non solo la barbarie, ma soprattutto l’insensatezza e stupidità. Tra le rovine delle città tedesche non c’è alcuna vittoria, non c’è gloria, non ci sono nemmeno i nuovi valori di democrazia e libertà. Come, del resto, non ci sono nell’Afghanistan “liberato” dai talebani o nell’Iraq del dopo-Saddam. I giornalisti, che chiedono alla misera gente di Amburgo se si stava meglio ai tempi di Hitler, si indignano nel sentirsi dire che, sì, si stava meglio prima che le armate inglesi, americane e russe radessero al suolo il paese. Il motivo è assai semplice: “Che la fame non si concili con nessuna forma di idealismo è un’evidente e amara verità”, scrive Dagerman.
“Autunno tedesco” potrebbe essere un’istruttiva lettura non solo per chi pensa che nella guerra ci sia qualcuno che sta dalla parte giusta e qualcuno dalla parte sbagliata. Ma potrebbe essere altrettanto utile per chi pensa che si possa fondare un paese sullo sciovinismo, sul razzismo, sulla prepotenza, sulla violenza, sull’aggressione impunita ad altri paesi, stando sempre dalla parte delle prede, anziché dei predatori.
Potrebbe essere una buona lettura anche per gli indifferenti, che lasciano accadere tutto questo. Ma bisognerebbe partire dall’ipotesi che chi è imbevuto di ideologia possa capire qualcosa del mondo, leggendo un libro.
Potrebbe quanto meno essere un buon promemoria, per ricordare che esiste una forza della storia, che da qualche millennio è conosciuta come Nemesi. Qualcuno la descrive come “giustizia divina” o “riparatrice”, ma credo sia semplicemente qualcosa che accade. E’ quella forza che fa sì che un tempo siamo predatori, ma un tempo siamo prede.
Succede alle persone, del resto: chi fa della violenza un metodo e perfino una ragione di vita, non si stupisca se finirà ripagato con la stessa moneta. C’è poco da condannare o osannare: è qualcosa che capita, un fenomeno fisico.
Perché non dovrebbe valere anche per un intero paese? Perché una nazione che promuove la cattiveria, la violenza e l’indifferenza come propri valori di riferimento non dovrebbe finire semplicemente così, in una distesa di macerie, morte e miseria?
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