Devo ancora vendere il primo, che già mi chiedono il secondo. Così, ho pensato di scrivere qualche racconto qui, man mano che mi vengono in mente. Li chiamerò tutti “Metadone”, una risposta a chi è in crisi di astinenza da cazzate.
Lasciami in pace!
Da quando s’era fatto Twitter, la situazione era rapidamente peggiorata. Se prima Massimo riusciva a mantenere un certo sereno distacco, appena disturbato dai sogni agitati che gli restituiva l’inconscio, con l’ingresso nel mondo dei social network il suo cruccio si era trasformato in un’ossessione quotidiana.
Non poteva non chiederselo, leggendo ciò che twittava quell’altro continuamente: perché? Per essere più precisi: perché ce l’aveva con lui? Perché lo attaccava con un simile accanimento? Era evidente, infatti, che tutto ciò che quell’altro scriveva era rivolto a lui. Bastava mettere in fila le frasi, per rendersene conto.
Soprattutto: perché proprio lui, il Sommo Pontefice? Massimo lo conosceva a malapena. Ne aveva seguito l’elezione al soglio di Pietro, ascoltato distrattamente l’Angelus e letto le dichiarazioni sui giornali. C’era qualcosa di segreto che li legava?
Non si spiegava, altrimenti, perchè il Papa stesso, ogni giorno che Dio mandava in terra, lo attaccasse con tweet così personali. A essere ironici e distaccati, sarebbe stato da chiedere: ma non hai altro da fare? Ma era evidente che se il Pontefice lo aveva scelto come bersaglio, c’era un tragico motivo. Qualcosa di enorme, che sfuggiva alla sua comprensione.
Inutile tirare fuori la solita obiezione: te lo sarai immaginato. I fatti parlavano da soli. Il 13 maggio, quando se n’era accorto la prima volta, il primo tweet era stato una stilettata al cuore: “Tutti dobbiamo imparare a rispettare ogni essere del creato, come fosse nostro fratello”. Più chiaro di così. Proprio il giorno prima, Massimo aveva ricordato quel suo amico che all’età di otto anni, si vantava di essersi divertito a seviziare una lucertola e farla a pezzi. E nessuno gli aveva detto che era una cosa orribile, neanche Massimo.
Diranno: un caso. Macchè. Pochi giorni dopo, era il 18 o 19 maggio, un altro tweet: “La violenza contro le donne è violenza contro le nostre madri, le nostre sorelle, un crimine imperdonabile”. Come poteva sapere, il Papa, di quella volta che Massimo aveva preso a schiaffi la fidanzata, che gli aveva appena comunicato di volerlo lasciare? Per la verità, non l’aveva presa a schiaffi. Giusto un buffetto. Anzi, a dirla tutta: neanche quello. Aveva quasi alzato il braccio, poi si era fermato a mezz’aria, iniziando a piangere. Ma avrebbe voluto menarla.
Non c’erano solo i tweet, sia chiaro. Prendiamo l’ultima enciclica, quella in cui tornava sul dovere di rispettare gli animali eccetera. Eccola di nuovo, la storia della lucertola. E quella volta che, durante la messa di Pasqua, aveva biasimato chi non rinunciava ai propri privilegi per aiutare i più deboli? Non era un chiaro riferimento a quanto accaduto una volta. non ricordava bene quando, che Massimo si era rifiutato di lasciare l’euro all’africano del supermercato, perché gli serviva moneta per comprare le sigarette?
Se quelli erano stati eventi vaghi ed episodici, su Twitter il povero Massimo si sentiva ormai vittima di una persecuzione. Tutto ciò che il Sommo postava era un fuoco di fila rivolto a lui. “Chi non ha rispetto per la propria terra è come se bruciasse la propria casa” (vabbé, ma a tutti capita di sbagliare la differenziata).
“Dobbiamo avere la capacità di denunciare le ingiustizie, vincere il silenzio e la paura” (Un’esagerazione: Massimo non si sentiva affatto in colpa per aver finto di non vedere il dirimpettaio che aveva fatto la fiancata all’auto della vicina, parcheggiando. Era un violento, non voleva guai). Ancora: “Lo studio e la lettura sono le basi su cui costruiamo il futuro del paese” (Ma saranno stati affari suoi, se preferiva passarsi la serata cazzeggiando con il tablet? Chi aveva più energie per leggere, dopo una giornata di lavoro?).
E via così. Uno stillicidio quotidiano. Un giorno, Massimo perse la pazienza. E rispose all’ennesimo tweet (“Nessuno si senta in diritto di giudicare gli altri per come si presentano”), senza alcun ritegno: “Lasciami in pace o ti denuncio!”. Si aspettava il finimondo: non successe nulla. Quell’altro non era certo uno stupido: sapeva che il freddo silenzio lo avrebbe angosciato più di una risposta feroce.
Gli attacchi continuarono imperterriti, sempre più sardonici, sempre più mirati. Massimo consultò perfino un avvocato. Non servì a nulla. Chi avrebbe avuto il coraggio di querelare il Papa? Fu così che prese una decisione radicale: uscì da Twitter. Gettò il computer nella spazzatura. Si fece cancellare dalle Pagine Bianche. Si licenziò dal lavoro. Cambiò città.
Occorsero 15 anni, per dimenticare finalmente quell’orribile periodo della propria vita. Non capì mai per quale ragione il Sommo Pontefice avesse deciso di accanirsi contro la sua onorabilità. E il giorno in cui il Papa morì, tirò un sospiro di sollievo: finalmente l’incubo era finito.